Tonfa e spread puzzano di morto

 

di ROBERTO FAURE

Della riunione dei presidenti degli 8 paesi “più industrializzati” detta G8, tenutasi a Genova nel luglio 2001, i media evidenziano la violenza. Il più delle persone reali ricorda violenza. Di cosa hanno discusso e deciso allora i rappresentanti degli “8 grandi” nessuno rammenta niente. Delle richieste e pratiche di quel movimento certamente si ricordano i tantissimi partecipanti di allora.

Nel linguaggio comune a Genova e non solo il G8 è diventato un evento storico; come con i termini anteguerra e dopoguerra, spesso si sente contestualizzare i ricordi degli ultimi lustri come avvenuti prima o dopo il G8.

Nei dibattiti e progetti del movimento di allora venne massivamente anticipato quello che è accaduto nei dieci anni successivi; il movimento che fece allora capo a Genova divulgava una previsione ed una analisi del neoliberismo che oggi appare degna di Cassandra, nel bene e nel male. Le nuove recinzioni dei beni materiali ed immateriali dispiegate negli anni ’90 ebbero analisi matura già nei convegni che costellarono – contestandolo – il G8 del 2001.

Il termine G8 ha perso il significato originario di luccicante convegno dei potenti, per significare invece quel grumo di eventi di cui il potere non può parlare, che non riesce a metabolizzare. Infatti le riunioni successive dei “Grandi” si tennero ben lontano dai territori metropolitani più conflittuali.

L’eterogeneità di quel movimento è stata la sua forza, il suo simbolo. Ma proprio nei giorni successivi, dopo il dispiegarsi della violenza poliziesca quella eterogeneità è stata debolezza. Il branco del movimento in fuga, qualcuno che temeva un golpe. Paura.

La forza psicologica e materiale della moltitudine riunita ha segnato negli anni successivi il metodo del movimento contro la guerra ed il neoliberismo, con risultati alterni: sconfitta con la guerra iniziata in Iraq, vittoria per l’assedio di popolo alla Casa Rosada del 2001 e per la mobilitazione anti-golpe in Venezuela, e via altalenando.

Per i militanti italiani l’illusione di un periodo di “gioco democratico” s’era allora fatta strada tra molti. Gli scudi di plexiglass, i parastinchi ed i giubbotti galleggianti da negozio di articoli sportivi, indossati da molti nelle manifestazioni del 2001 erano il segno di quella illusione.

Qualcuno sperava in dinamiche già viste nelle piazze dei paesi mitteleuropei, dove la polizia tendenzialmente dava spintoni e qualche bastonata, ma non massacrava sistematicamente i manifestanti. Quegli scudi di plexiglass, quelle armature artigianali riviste addosso a gente coperta di sangue in mezzo a branchi di bastonatori scatenati, apparivano grottesche, facevano tenerezza.

Ciò che da un lato ha sedimentato l’evento del G8 genovese, com’era volontà dei governanti dell’epoca, è stata la coscienza dell’impunità per i pretoriani, la corrispondente paura della popolazione assoggettata.

Quelle mazzate date col tonfa non venivano dallo Stato italiano o dall’ossequioso governo Berlusconi; venivano da una governance globale e sovranazionale che rivendicava un nuovo monopolio della violenza, superiorem non recognoscens, di fronte ad un movimento altrettanto globale e sovranazionale.

É del tutto errata l’idea che si sente molte volte all’uscita degli spettatori del film “Diaz”: è stato Berlusconi. Gas, bastonate e repressione per i Valsusini (e non solo) continuano oggi uguali ad allora.

I numerosi giovani che in Italia, in questi ultimi anni sono stati tradotti in caserma per eventi di strada e sono usciti con le gambe in avanti, forse si sono scontrati con una nuova coscienza di sé di alcuni poliziotti, creatasi in questi 11 anni di “processi del G8”; i poliziotti che hanno fatto apologia, anche pubblicamente, dei torturatori della scuola Diaz probabilmente trovano inconcepibile una reazione a male parole da un giovane sotto arresto, e ciò può suscitare reazioni smodate.

D’altro canto, una nuova generazione di antagonisti del potere è cresciuta di numero e di età con una consapevolezza che il sistema delle merci fatica a corrompere e dominare.

Centinaia di medici ed avvocati durante il G8 hanno costituito una grande macchina organizzata, che ha funzionato molto benché messa a dura prova. Le centinaia di feriti che sono stati curati fuori dagli ospedali hanno evitato l’arresto e quanto ne è seguito. Gli avvocati del legal forum hanno lavorato duramente per undici anni ancora; senza la loro opera, le condanne sarebbero probabilmente molte di più di quelle di oggi. Non entrerebbe oggi nella memoria collettiva il racconto del film “Diaz” ma quella mattanza sarebbe una verità da negare pena la persecuzione giudiziaria per calunnia e diffamazione della polizia.

I governi dell’aggiotaggio ed i loro mass media non riescono a far passare la nuova religione dello spread-default. La (creazione della) paura del default trova anticorpi efficaci nel sapere sociale, e quei cervelli-anticorpi sono gli stessi del movimento di quelle calde giornate del 2001.

Nei giorni di Genova 2001 erano ormai consolidate pratiche e consuetudini nuove.

Il movimento adotta la tecnica del branco di erbivori; nessun leader, i predatori faticano ad individuare nel branco in corsa un obiettivo da azzannare (o candidare alle elezioni).

Un effetto lo vediamo nelle pesanti condanne di questi giorni (ovviamente a carico dei manifestanti). Super condanne, tutte a carico di manifestanti uguali a tantissimi altri, senza particolari aggettivazioni. Un monito dei potenti alla moltitudine tutta, solo indirettamente ai militanti più noti. Per avere in carcere soggetti che (loro sperano) desiderano più la libertà che piantare nuove ed ulteriori grane al potere.

Se il movimento del G8 di Genova ha toccato nervi scoperti, è segno che molto di efficace ha rappresentato. Quel rispetto reciproco, quella grande organizzazione poteva e può crescere sino a sostituire l’impero del male.

Aiutarsi, rischiare assieme, accordarsi, demonetizzare i rapporti era allora ed è ancora oggi la strada da seguire. É inevitabile seguirla, e fa sentire un gran calore di vita mentre spread, default e tonfa puzzano di morte.

 

 

 

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