Porco Rosso

 

di TONI NEGRI

Porco Rosso – disegno animato giapponese, a colori, del 1992 diretto da Hayao Miyazaki – primo premio film d’animazione al Festival di Annecy, 1995.

Negli anni fra le due guerre, un asso dell’aviazione su idrovolante, refrattario al fascismo, si erige in giustiziere e in difensore degli abitanti delle isole della Dalmazia taglieggiati da pirati aerei. Dei meccanici anarchici che vivono sui navigli milanesi, gli riparano l’idrovolante o lo ricostruiscono, clandestinamente, altri illegali, nelle isole dell’Adriatico, lo sostengono, lo fanno riposare, lo aiutano quand’é ferito.Non é bello come Corto Maltese, ero dell’epoca fordista: no, il nostro eroe é un porco, un vero porco, “porco rosso” come i pirati e i fascisti lo insultano – é una metamorfosi, il prodotto di un’età’ a venire. I fascisti lo cercano per ucciderlo e gli stormi dell’aviazione del regime si impegnano nella caccia – ma “porco rosso” é imbattibile, disastra il nemico. Quando infine cade, le più belle donne dell’Adriatico lo curano e lo nascondono – “porco rosso” si é rifugiato sulla sua base, su un lago di acqua di mare, al centro di un’isola vulcanica – lì si ritempra e si prepara per la nuova campagna – fuori da quel mondo nel quale i fascisti hanno sembianza d’uomini, egli può amare. Di fuori e contro.

Qui finisce la favola e comincia la morale – altri la chiamano decostruzione. Hayao Miyazaki racconta la storia di una metamorfosi abietta, prodotta dall’edificio del comando: “sei un rossi, quindi sei un porco” – ma l’eroe sorge quando individua nella denominazione abietta la ragione della sua rivolta e nell’ibridazione lurida la forma stessa del suo essere rivoltato. La favola ha un significato generale, poiché é vero che la denominazione “postmoderna” muta l’essere – lo corrompe – produce una moltitudine di esseri abietti. Occorre assumere questa massa di abiezione – che é tuttavia l’immanenza di un di fuori senza limiti. Non c’é memoria, non c’é ritorno – c’é tuttavia una moltitudine immensa. La corruzione costituisce un nuovo mondo – é lì nella materialità di questo fuori, che il contro si determina e la resistenza si fa strategia. Il “porco” allora diviene comune e il “rosso” inizia una nuova vita. Di fuori e contro.

Utopisti smarriti si chiedevano, non sono passati tanti anni, se dopo Auschwitz ed Hiroshima, potesse ancora poetare. “Porco Rosso”, normalmente irradiato a Chernobyl, pretendi si possa ancora filosofare, poetare, combattere. Non segue nostalgie, ne’ si perde in sentieri interrotti; non piange ne’ lamenta – neppure con amarezza libertina – disseminazioni lessico-semantiche interminabili, bensì realisticamente constata di esserne il prodotto – di esserne stato contaminato. Ma la constatazione non si contenta di fissare la causa, segue l’effetto – se la presa di coscienza incontra la figura della mutazione, la passione la mette in movimenti, riapre all’azione. L’effetto irradia la sua mostruosità (“porco”) nel possibile (“rosso”). Il futuro anteriore non recupera dunque qui alcuna anteriorità se non nella mostruosità, e la oppone ad un futuro che é pura possibilità – l’unica anteriorità identificabili é quella della mutazione, il suo gesto insensato – una mutazione irriconoscibile. Ma reale – ed ontologica. Allora, nel “porco” che diviene comune, c’é la possibilità di mettere mano a questi meccanismi della mutazione per capire a cosa servono. Quel di fuori più terribile di tutte le interiorità, e più lontano della realtà immediata dei fatti, non sarà il luogo creativo del nostro impensato materiale in atto? La battaglia del postmoderno, quella che si é aperta consiste probabilmente in questo: chi deciderà della trasformazione dell’essere, “il fascista” omologato oppure “porco rosso” diffuso?

Porco rosso, un film da vedere.

* Editoriale pubblicato su Futuro anteriore III-IV. 1995

 

 

 

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