Libertà mediterranea

 

di SANDRO MEZZADRA

Giulio Marcon e Annamaria Rivera hanno scritto l’essenziale, sul Manifesto di questi giorni, sui terribili fatti che stanno accadendo attorno al mediterraneo. Il riferimento del primo alla fragilità della Realpolitik europea, del resto, acquisisce il suo pieno significato alla luce di quanto scrive la seconda a proposito del desiderio di libertà e della pretesa di dignità che hanno sostenuto le rivolte di questi mesi sulla sponda sud del mare nostrum. Libertà e dignità, scrive Rivera, “significano per i giovani rivoltosi anche libertà di movimento e diritto di cercare altrove un destino più dignitoso,  senza mettere a rischio la propria vita”. Non saprei dirlo meglio. Ed è piuttosto evidente che un futuro di pace e cooperazione (comunque si intendano questi termini) nell’area euro-mediterranea non può prescindere da questa specifica declinazione del desiderio di libertà e della pretesa di dignità dei “giovani rivoltosi” del Maghreb. L’alternativa la conosciamo: è la prosecuzione della guerra contro donne e uomini migranti che ha trasformato il mediterraneo in un cimitero (e che continua a rifornirlo ogni giorno con solerzia di poveri corpi straziati).

 

C’è un’unica cosa che vorrei per parte mia aggiungere. Ci si affanna in questi giorni a cercare intese con il governo tunisino e a prefigurarne con il futuro governo libico. Si rende omaggio alla “libertà” recentemente conquistata o da conquistare (neanche i più truci mastini governativi si tirano indietro) e si preme sui nuovi governi “democratici” per stipulare trattati che reintegrino i loro Paesi nel posto che da anni occupano nel regime europeo di controllo dei “confini esterni” dell’Unione e dunque delle migrazioni. Gli si chiede (e non mi pare siano in molti,  nell’opposizione, a mettere in dubbio la ragionevolezza di questa richiesta) di continuare a funzionare come “dighe”, a “contenere” (possibilmente con le buone maniere, aggiungono alcuni) la pressione dei “clandestini” – siano questi ultimi cittadini del loro Paese o profughi e migranti provenienti da Sud.

 

Ora, non vi pare che ci sia una contraddizione tra questa insistita richiesta e l’omaggio reso alla nuova stagione di “democrazia” ritrovata nel Maghreb? Badate bene: non mi sto riferendo a chissà quale sofisticata lettura radicale della democrazia o della cittadinanza. Prendo come riferimento la definizione più banale e corriva di democrazia: il regime politico in cui il governo dipende dal voto dei cittadini. Perfino l’Italia di questi anni è senz’altro una democrazia, in questo senso. Ecco: ve lo immaginate il governo italiano che manda l’esercito al Brennero e a Ventimiglia per “arginare” un eventuale esodo di massa di cittadini italiani? Mi pare onestamente un po’ difficile immaginarselo. Non che nella storia non vi siano stati, e che non vi siano nel presente, regimi che lo hanno fatto: ad esempio la DDR negli anni del Muro di Berlino o la Corea del Nord oggi. Difficile definirli regimi “democratici” nel senso banale appena indicato.

 

E dunque, qual è il punto? Il punto è molto semplice, anche se nessuno lo dice: l’Italia e l’Europa non vogliono regimi “democratici” sulla sponda sud del mediterraneo, li temono come i giapponesi temono oggi lo tsunami (per usare in modo un po’ più appropriato questo termine di cui si è ampiamente abusato in questi giorni a proposito dell’afflusso di profughi e migranti da Tunisia e Libia). L’Italia e l’Europa desiderano regimi almeno moderatamente autoritari, perché è con quei regimi che si stipulano gli accordi che li obbligano a svolgere la funzione di gendarmi per conto d’altri. È un desiderio inconfessato e forse (in questi giorni) inconfessabile, ma in fondo il desiderio lo è spesso per sua natura. Se poi evoca fantasmi un po’ imbarazzanti (come ad esempio l’idea che per gli “arabi” la democrazia sia poco adatta), diventa ancora più difficile confessarlo.

 

Toccherebbe a noi fare emergere in piena luce questo presupposto implicito (ma, mi pare, piuttosto evidente) di una discussione pubblica che in Italia, in questi giorni, è ancora più grottesca del solito – anzi, è davvero sconvolgente se solo si pensa a quanto avviene attorno e soprattutto nel Mediterraneo. La contraddizione tra il desiderio di libertà dei giovani ribelli del Sud (questo sì pienamente confessato e agito!) e la Realpolitik europea risulterebbe ancora più plateale, così come la fragilità della seconda. E daremmo forse un piccolo contributo all’apertura di spazi in cui immaginare e costruire una diversa area euro-mediterranea.

 

 

 

 

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