Introduzione al dossier Mediterraneo

 

di GLENDA GARELLI e MARTINA TAZZIOLI

Le rivoluzioni arabe hanno portato in primo piano il Mediterraneo, come spazio di lotte, come ambito a partire da cui costruire nuove linee di ricomposizione sociale e come scenario del cambiamento politico. É qui del resto, sulla sponda sud e est del Mediterraneo così come nell’Europa meridionale, che gli effetti della crisi si sono fatti sentire prima e con un impatto maggiore che altrove. I sommovimenti che dalla Tunisia si sono propagati dal Maghreb alla Libia fino alla Siria passando per i paesi del Golfo ci indicano infatti che le ragioni delle proteste vanno oltre il “dégagé!” alle dittature mettendo in atto un rifiuto radicale di quel regime economico che sulla sponde sud come su quella europea ha reso insostenibili e precarie le esistenze di milioni di persone.

Attraverso il Mediterraneo, le migrazioni mettono da anni in discussione l’asimmetria tra le due sponde, agendo il “mare di mezzo” e la sua sponda nord come un vicinato da attraversare, in contrapposizione con la persistente polarizzazione delle sponde messa invece in atto dalle politiche migratorie, di “sviluppo” e di cooperazione euro-mediterranee. Pratiche di migrazione che hanno anche messo in luce, sfidandola fino in fondo, la crescente militarizzazione del mare Mediterraneo: “mare solido” è stato chiamato, luogo di una persistente “guerra a bassa intensità” contro i migranti e di una governamentalità all’insegna della segmentazione della mobilità e contro la libertà di movimento.

Le rivoluzioni arabe hanno messo in movimento lo spazio mediterraneo, obbligando rinegoziazioni sullo scacchiere degli equilibri politici ed economici regionali, imprimendo il segno delle rivoluzioni arabe nella “culla della civiltà” e sfondando quelle frontiere culturaliste attraverso cui quel mare – nostrum o di mezzo che fosse – è stato pensato nel dibattito accademico.

In continuità con il sommovimento creato dalle rivoluzioni arabe, questa sezione si propone di politicizzare la discussione sullo spazio Mediterraneo, rendendo visibili i punti di interruzione del potere nell’area e le nuove cartografie mediterranee in evoluzione. In questo senso, la sezione mira a far saltare quella logica delle due sponde dove una detta il ritmo della democrazia e dell’indebitamento delle esistenze all’altra. Per aprire e consolidare questo spazio mediterraneo di riflessione, conricerca e militanza, la rubrica ospita interventi critici sulle evoluzioni nei diversi paesi dell’area, interviste con i testimoni coinvolti nei sommovimenti, articoli tecnici sugli sviluppi della regione sul piano economico, militare, energetico, normativo, e contributi visivi di contro-mappatura dello spazio Mediterraneo.

Ma alla voce “Mediterraneo” pensiamo si debba aggiungere anche una riflessione su ciò che sta a sud delle latitudini mediterranee, sottraendo lo spazio africano alla legacy coloniale della politica del “non ancora”. Pertanto, nessuna connessione tra le due sponde rispetto alle esperienze di lotta deve essere postulata come già là: piuttosto, è proprio a partire da una differenza talvolta radicale nei modi, nei linguaggi e nelle pratiche di lotta che in questa sezione cerchiamo di articolare la vicinanza tra le sponde mediterranee. Un laboratorio che pretende di funzionare non solo come piattaforma di riflessione politica ma anche come “presa diretta” sugli eventi in corso, cercando ogni volta di fare emergere ciò che di inassimilabile e non riconducibile ai propri confini del politico può esserci in quelle pratiche per produrre risonanza ben oltre lo spazio geografico del Mediterraneo. Obiettivo di questa sezione “Mediterraneo” è dunque di aprirsi ad altri spazi, ad altri luoghi di conflitto e realtà di movimento come ad esempio quello che viene definito il “Laboratorio America Latina” per individuare e tracciare possibili convergenze ma soffermandosi al contempo sulle differenze costitutive tra esperienze e contesti radicalmente eterogenei. La dimensione continentale assunta dai movimenti sudamericani, ad esempio, trova difficile riscontro nello spazio Mediterraneo così come nella dimensione fortemente nazionale delle rivoluzioni arabe. Differenze che tuttavia permettono di vedere nelle insurrezioni arabe così come nelle lotte contro la precarietà sulla sponda nord del Mediterraneo ciò che altrimenti verrebbe qualificato come una riproposizione di pratiche politiche già sperimentate altrove. Al contrario, sono precisamente i processi di risignificazione del lessico politico e lo scarto nelle pratiche di lotta che interessano nell’ottica di un focus sul Mediterraneo come laboratorio.

Uno spazio che del resto si presenta oggi non solo come luogo di confini ma anche come catalizzatore di una pluralità di conflitti, resistenze e rifiuti al meccanismo di precarizzazione delle esistenze.

 

 

 

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