Il rinnovo del contratto nazionale per il settore della logistica e del trasporto

 

di GIANNI GIOVANNELLI

Il contratto di settore è giunto a scadenza il 31 dicembre 2012, le trattative proseguono come di consueto assai lentamente. Pare difficile che si possa giungere ad una definitiva conclusione prima di alcuni mesi, anche se le sorprese sono sempre in agguato, specie in tempi movimentati come quelli che stiamo vivendo. Alcune considerazioni sono necessarie per comprendere il quadro complessivo in cui si colloca, qui e oggi, il rinnovo contrattuale in un settore che indubbiamente ha natura strategica dentro la crisi economico-finanziaria; centinaia di imprese (e non solo piccole) hanno chiuso i battenti, spesso senza pagare gli ultimi mesi di stipendio e il trattamento di fine rapporto. Per aggiunta nel settore del trasporto non trova applicazione il trattamento economico connesso alla mobilità e ai licenziamenti collettivi (gli ammortizzatori sono inferiori a quelli dell’industria e gli operai di cooperativa a volte neppure prendono l’indennità di disoccupazione perché i caporali dell’appalto non versano i contributi).

Al tavolo della trattativa è seduto un convitato di pietra, di cui le organizzazioni sindacali maggioritarie non parlano. Il Tribunale di Lucca ha sollevato la questione di costituzionalità dell’articolo 7 comma 4 della legge 28 febbraio 2008 n. 31 in relazione all’articolo 39 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha incamerato la causa a fine febbraio di quest’anno e siamo in attesa della decisione, a giorni. Di che si tratta? Nella controversia fra Inps e la cooperativa Il Castello Service si discuteva del famigerato contratto UNCI. Come (purtroppo per loro) ben sanno gli operai della logistica, per risparmiare sul costo del lavoro, molte cooperative non pagano le tariffe del contratto nazionale (Cgil, Cisl e Uil per intenderci) ma quelle assai inferiori che sono previste da un contratto parallelo di un sindacato di comodo. La differenza non è poca, sono quasi tre euro all’ora. Con la finanziaria del 2007 fu introdotto un comma (appunto l’art. 7 comma 4) che vietava paghe inferiori alle tabelle del contratto nazionale firmato dalle organizzazioni maggioritarie. Dunque i lavoratori potevano fare causa e chiedere la differenza, mettendola a carico del committente (per via di un’altra norma, l’articolo 29 del decreto legislativo 276/2003). E’ un argine importante di tutela. Ma il Tribunale di Lucca ha proposto di abbattere l’argine. L’articolo 39 della Costituzione regola le strutture sindacali e prevede che possano vincolare solo i contratti collettivi firmati dalle organizzazioni che la costituzione ha pensato. Siccome l’articolo 39 (dal 1948!) non ha mai trovato attuazione queste organizzazioni non esistono e dunque non possono esistere minimi vincolanti. Secondo il Tribunale di Lucca la contrattazione sui minimi è libera, valgono solo i rapporti di forza. E la legge “argine” va cancellata. Capite tutti che se la Corte Costituzionale accoglie questa impostazione il salario nella logistica crolla. E per giunta la riforma Fornero, a vantaggio dei committenti, è intervenuta a gamba tesa per rendere difficile il recupero dei crediti di lavoro; adesso (a differenza di prima) non è possibile chiedere i soldi al committente (che poi se la doveva sbrigare lui a richiedere i soldi alle cooperative insolventi). L’operaio deve prima “tentare” il recupero dai caporali direttamente e solo se dimostra di non essere riuscito nell’impresa, allora (ma solo allora) può passare al committente. Questo vuol dire metterci almeno un paio d’anni e anticipare somme di cui un operaio senza stipendio e senza TFR certo non dispone. Questo è il quadro politico giuridico in cui cade il innovo del contratto nel settore della logistica.

Invece di renderlo noto (e di chiamare su queste cose i lavoratori alla lotta) la piattaforma di rinnovo punta tutto sul “metodo”: la contrattazione di secondo livello (ovvero l’articolazione delle richieste, caso per caso e posto per posto) e la difesa corporativa del potere di rappresentanza in capo alle strutture tradizionali. Manca nella piattaforma di rinnovo ogni elemento unificante e sostanziale: la tutela di orario e minimi salariali in occasione del cambio di gestione; la garanzia (a carico dei committenti) che non si possa dare appalto se non alle medesime condizioni retributive previste per i fissi; la solidarietà nel pagamento di retribuzione e contribuzione; limiti di orario; certezza degli ammortizzatori sociali.

Nel rinnovo si sono resi visibili tuttavia nuovi protagonisti, i lavoratori migranti della logistica, che sempre più aspirano a diventare arbitri del proprio destino. Non è un caso che questi lavoratori, su cui si fonda in concreto gran parte dell’estrazione di ricchezza, siano dimenticati (quando va bene) nell’elaborazione della piattaforma o perfino lesi (quando va male) nell’esclusione dagli ammortizzatori sociali.

Orario garantito, minimi salariali, appalti e caporali che forniscono manodopera sono i reali terreni di scontro. La genericità della piattaforma rivendicativa (volutamente generica per favorire un accordo al ribasso firmato unitariamente, nella logistica non si prevede la spaccatura registrata nella metalmeccanica o nel terziario)  può diventare un’occasione, rovesciandola di fatto.

Lo sciopero del 22 marzo si presenta come un’occasione; dunque verrebbe da dire Seize the time!

 

 

 

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