Il diciotto invernale di Giorgio Napolitano e Mario Monti

 

di GIANNI GIOVANNELLI

Il numero diciotto compare ormai in ogni editoriale, caratterizza le tavole rotonde, sta al centro delle polemiche. Ci raccontano (naturalmente mentendo) che senza mettere mani al testo dell’articolo la nostra povera Italia finirà nel baratro, che solo cancellando il dannatissimo diciotto potremo salvare le generazioni future. Diciotto, diciotto… Come per un riflesso condizionato la mente corre al celebre passo che apre Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte. E’ spesso mal citato dai pennivendoli del regime; meno noto, e assai curioso, è che il saggio di Marx apparve per la prima volta a stampa nella primavera del 1852, non in Europa ma a New York, edito da Joseph Weydemeyer, comandante militare di un distretto durante la guerra civile americana. Eravamo a pochi passi dalla piazza Occupy Wall Street.

Nel tempo del governo tecnico (o, meglio, del governo unico) due figure di modesto rilievo, quali sono Monti e Napoletano, vengono dipinti e descritti come giganti del pensiero contemporaneo; non ci stupisce: Hegel osserva in un punto delle sue opere che tutti i grandi fatti della storia del mondo ed i loro personaggi compaiono per così dire a due riprese. Egli ha dimenticato di aggiungere. La prima volta in tragedia, la seconda in farsa.

Un vecchio stalinista ormai ottuagenario ha nominato un cattolico (più reazionario che conservatore) al vertice dell’esecutivo con il dichiarato scopo di curare l’economia italiana, e lo ha scelto perché indicato dalle strutture del capitalismo finanziarizzato, ovvero dai responsabili della crisi. Non è una farsa? Del resto il creatore dei famigerati CPT per il concentramento dei migranti in cerca di lavoro chi poteva scegliere come dittatore non eletto se non il dirigente della Trilaterale? Una volpe come Berlusconi, passata la rabbia del primo istante, ci ha messo ben poco a comprendere che questa poteva essere, anche per lui, la soluzione. Napolitano aveva già nominato (per normalizzarla e piegarla alla ragion di stato globale finanziario) Paolo Grossi e Marta Cartabia membri della Corte Costituzionale, spostando l’equilibrio verso la destra autoritaria ed inaugurando la stagione autoritaria. Paolo Grossi era un Giudice del Tribunale Ecclesiastico toscano; Marta Cartabia ha dato il meglio nei saggi (ricordano il miglior Monaldo Leopardi) dedicati al caso Englaro (19.1.2009) ed alla legge che consentiva i matrimoni gay oltreoceano (28.6.2011). La nuova Corte si è subito posta al centro dello spettacolo, prima dichiarando legittima la norma retroattiva soprannominata (non a caso) ammazzaprecari; poi ha calpestato i referendum per ridimensionare l’opposizione. Non c’è due senza tre: è arrivata la nomina di Monti, a senatore prima, a capo dell’esecutivo subito dopo.

La scelta dell’imprenditoria italiana, nei momenti di crisi, è sempre quella di reprimere; la prepotenza e il nazionalismo vengono ben miscelati in salsa clericale. La socialdemocrazia massimalista e imbelle si presta costantemente al ruolo di spalla. Tornano dunque alla mente i cedimenti della borghesia liberale davanti al nascente fascismo o, magari, il patto fra Molotov e Von Ribbentrop; sono scelte di potere che hanno lo scopo di piegare le lotte di emancipazione e i percorsi di liberazione, sono l’opzione autoritaria per accollare al precariato e alle moltitudini i costi della crisi permanente generata dall’affermarsi del capitalismo finanziario. Il governo tecnico, che va assumendo l’abito del governo unico, ha preso in mano la situazione e brucia le tappe della normalizzazione. La campagna per la soppressione delle garanzie dell’articolo 18 dello Statuto è semplicemente lo stendardo che accompagna l’avvento del nuovo dispotismo occidentale; non è un piccolo incidente di percorso, ma la realizzazione di un disegno politico per il medio periodo. E per affermarsi questo disegno cerca un simbolo nell’eliminazione delle tutele residue nella schiera considerata ancora troppo ampia dei cosiddetti garantiti.

Joachin von Ribbentrop (nazista, giustiziato nel 1946 dagli alleati) e Vjaceslav Skrjabin (morto nel 1986, amico di Napolitano, nome di battaglia Molotov, ma le bottiglie si chiamano così perché le tiravano contro di lui!) siglarono il 23 agosto 1939 il patto di non aggressione fra Stalin e Hitler. Il Corriere della Sera spiegò ai lettori che si trattava di cosa buona e giusta, e lo stesso fece la Pravda; una lunga serie di menzogne, naturalmente oggettive, furono scritte a commento, per ottenere il consenso alla guerra di occupazione contro Albania, Grecia, Slovenia. Era la tragedia.

Il diciotto invernale di Monti e Napoletano è invece la farsa, ma di nuovo il Corriere della Sera non esita a svolgere il proprio ruolo, più che centenario, a costante sostegno dell’apparato di potere, della prepotenza autoritaria. I manifestanti della Val di Susa debbono rimanere in carcere, perché anarchici, nemici violenti del progresso; la liberalizzazione dei licenziamenti viene invece presentata come una meravigliosa invenzione capace di produrre lavoro e ricchezza. Ripetere ossessivamente una menzogna, spiegava Goebbels, la trasforma in verità. Nella pagina 6 del Corriere della sera, in data 12 febbraio 2012, la tavola riassuntiva (che si pretende oggettiva, reale) paragona Spagna e Italia e propone come vere, in poche righe, due incredibili fandonie (consapevolmente) per orientare l’opinione dei lettori. Leggiamo: il licenziamento per motivi economici è consentito solo a livello collettivo attraverso accordi con i sindacati. Falso doppio! Il licenziamento per motivi economici è già consentito individualmente (si chiama giustificato motivo oggettivo) e la Corte di cassazione per lo più lo conferma valido; e il licenziamento collettivo è consentito anche senza l’accordo del sindacato (basta all’impresa allegare un mancato accordo, ovvero rompere la trattativa). Infatti stanno licenziando, in questi giorni, a man bassa! E mentre licenziano come mai in passato questi filistei piangono sostenendo che ciò sarebbe loro proibito ed impedito da leggi che non esistono! In realtà mirano a buttare in mezzo alla strada i più deboli, quelli con la schiena distrutta dal lavoro degli anni passati, i lavoratori con le crisi di panico e con la depressione generata dai loro cicli produttivi intollerabili, gli operai segnati dalla sequela di infortuni impuniti, i vecchi indeboliti e stanchi cui il funzionario di banca Fornero (con lacrime piemontesi: false e cortesi secondo il proverbio) ha negato l’accesso al trattamento pensionistico. Li hanno spremuti ed ora li vogliono cacciare da ogni accesso al reddito: se ne occupino le loro famiglie o crepino in qualche modo (possibilmente in fretta, il maltempo aiuta).

Joseph Goebbels, ricordavamo prima, dirigeva la propaganda hitleriana. Questi bugiardi professionisti hanno fatto tesoro della lezione impartita dal ministro nazista: la politica delle notizie è un’arma di guerra. Serve a fare la guerra non a diffondere informazioni. E ancora: la nostra propaganda è elementare perché il popolo pensa in modo elementare. Noi parliamo la lingua che il popolo capisce. La menzogna del Corriere si salda con le menzogne del governo, della televisione, dell’apparato mediatico, dei circuiti di formazione del consenso (parrocchie, sedi politiche, strutture scolastiche, covi di mafia e camorra, famiglia); il pensiero unico pone in modo martellante lo stesso tema, come viatico necessario per salvare l’Italia. Bisogna eliminare il posto fisso, bisogna poter licenziare, perché più si licenzia e più si assume. La tutela in tema di licenziamenti è la causa principale della disoccupazione, della crisi e della miseria. Questa è l’ideologia del regime, un po’ la stessa che aveva prodotto le leggi razziali (è solo cambiato il nemico). Chi si oppone è un nemico della nazione!

In realtà ciò che il governo unico-tecnico vuole introdurre con il suo diciotto invernale non è la possibilità (che già esiste) di licenziare in caso di esubero reale, di fronte cioè ad una ragione comunque logica o giustificata; il traguardo è la possibilità di licenziare senza ragione! Questa è l’idea forza che si vuole imporre: non solo come disciplina giuridica introdotta nel corpo delle leggi, ma come filosofia dell’esistenza, come etica del comando. E’ la legittimazione del processo di precarizzazione in via di completamento, ma in gran parte già attuato.

Il Presidente Napoletano ci ha avvisato tutti (italiani e stranieri, precari e reclusi nei CPT), con quella squisita gentilezza tipica del funzionario formatosi nelle strutture di partito filo-staliniano (e al tempo stesso con la prepotente arroganza che l’accompagna): l’Italia non è la Grecia…noi siamo convinti che non ci siano alternative ai sacrifici…confido che questa discussione tra esecutivo e sindacati che qualcuno chiama trattativa si concluderà con un accordo…con la speranza che possa non esserci una protesta perché le proteste che escono dal solco della legalità non possono essere tollerate. Come nella Carta del Lavoro fascista la lotta di classe viene esorcizzata l punto di negare perfino la possibilità (liberale) di una trattativa (la trattativa presuppone il conflitto, mentre il governo unico prevede solo la nazione), confinando il qualcuno riottoso ai margini e anticipando la conclusione.

In poche righe ritroviamo l’essenza dell’ideologia oggi al governo. Il dottor Giorgio Napoletano, nato nel 1925, collaborava, durante l’università (1943) al periodico fascista del GUF napoletano, IX maggio, quale critico teatrale. Niente di drammatico, era giovanissimo e gli va dato atto, lealmente, di aver cambiato subito idea. Ma lasciar credere nelle biografie ufficiali che il GUF (ovvero la sede in cui si sviluppava la cosiddetta mistica fascista) fosse un centro di resistenza al regime mussoliniano ci pare un po’ troppo, è il segno di come l’attuale apparato di comando concepisce l’informazione. Falsificano ormai per abitudine, anche quando non è necessario. E’ lo stesso Napolitano che  nel 1956 (ormai nella mezza età) ci spiegava con la medesima orgogliosa sicurezza di oggi: l’intervento sovietico non ha solo impedito che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma ha contribuito alla pace nel mondo. Nientemeno! Supponiamo che il Presidente intenda riservare ai manifestanti greci che si ribellano al potere finanziario con meraviglioso coraggio (un coraggio che, senza timore di apparire retorici, ci apre alla speranza) lo stesso trattamento che insieme ai suoi alleati aveva riservato agli operai magiari insorti, ancora una volta, naturalmente, per contribuire alla pace nel mondo.

Intanto il professor Monti, trotterellando per i paesi occidentali, non esita a dichiarare che comunque i licenziamenti saranno liberalizzati in Italia; e che lo saranno con o senza il consenso delle organizzazioni sindacali, in tempi brevi, con il metodo autoritario della legge delega.

Come funziona? Semplice: il parlamento (compreso il Partito Democratico, che scalpita in questo senso) voterà una legge quadro, volutamente e ipocritamente generica, per la riforma del mercato del lavoro; il governo tecnico (senza il voto parlamentare) porterà al Presidente Napolitano (già con la penna in mano per firmare) una serie di decreti legislativi, immediatamente vincolanti, tutti repressivi, cancellando le tutele dello Statuto dei lavoratori; i parlamentari fingeranno di stupirsi con qualche sporadica indignazione, a macchia di leopardo; professori e giornalisti spiegheranno che non c’era scelta; i sindacalisti daranno prova di responsabilità. Così pensano di rimuovere i diritti ed aggredire i deboli, senza turbare le coscienze (basta poco a placare una coscienza disponibile!).

Il governo unico autoritario archivia il berlusconismo populistico, ma non è neppure la riedizione del reaganismo americano; del fascismo accetta il corporativismo e il mito dell’economia nazionale, ma solo per piegarlo alle necessità dell’economia globale finanziaria. Lo schema autoritario prevede di legare al solo esecutivo anche il potere giudiziario e quello legislativo; tralasciando qualunque attacco alle piaghe antiche (il nepotismo e la corruzione non sono oggetto di attacco e neppure si proclama la guerra alle cosche) per non indebolire l’azione repressiva. La precarizzazione dell’esistenza è lo strumento con il quale il governo del diciotto di Monti-Napolitano intendono esercitare il controllo sociale, mentre il fine è quello di accollare il costo intero del debito sulle spalle dei ceti deboli, depredandoli del comune. Vanno fermati!

 

 

 

 

Comments are closed.