Il comune di Parigi
di COLLETTIVO EDU-FACTORY
Come comporre mobilità del lavoro vivo contemporaneo ed esercizio della forza? Ecco il nodo politico oggi. La scommessa lanciata da Edu-Factory è questa. Le coordinate spazio-temporali su cui misurare la sfida sono immediatamente transnazionali, come le lotte ci insegnano: è possibile pensare alle rivolte di studenti e precari in Italia senza l’esplosione in Inghilterra o gli scioperi metropolitani francesi, o afferrarne il significato senza partire dai movimenti rivoluzionari nel Maghreb? Evidentemente no. Restare impigliati nei confini nazionali, o in quelli settoriali o categoriali, vuol dire votarsi alla sconfitta. Il territorio non esiste al di fuori dei movimenti del lavoro vivo, e non c’è possibilità di trasformazione senza politica transnazionale. Lo hanno capito bene il centinaio di gruppi, collettivi, facoltà occupate e reti che hanno aderito al meeting di Parigi. Vi parteciperanno tutte le realtà che negli ultimi anni hanno dato vita alle lotte contro il Bologna Process, l’aziendalizzazione dell’università, le politiche di austerity e la precarietà, che hanno gridato con forza di non voler pagare la crisi, ma soprattutto hanno affermato: noi siamo la vostra crisi. Saranno presenti in tante e tanti, e questo è un dato nuovo e di grande importanza, dall’ex Europa dell’est – dalla Slovenia all’Ucraina, dalla Polonia alla Russia. Ma parteciperanno anche attivisti e militanti dal Maghreb, dal Gambia, dal Nepal, dal Giappone, dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Cile. Fare un incontro europeo dei movimenti – questo è l’insegnamento che ci viene da Parigi – significa mettere radicalmente in discussione i confini della tremolante costituzione europea. Significa, cioè, riaprire il processo a partire dalle lotte transnazionali. L’Europa, dunque, oggi va ripensata a partire dalla Tunisia e dall’Egitto.
Non è un caso, allora, che i media spaventati dalla possibilità del contagio si siano affrettati a rubricare ciò che sta avvenendo sull’altra sponda del Mediterraneo come una rivolta per il pane. Ma a guidare i movimenti, su entrambe le sponde del “vecchio mare instabile”, vi è una forza lavoro fortemente intellettualizzata e disoccupata. E giovane, nel senso che la generazione è paradigma di una condizione generale. É fin troppo banale dire che esistono specificità e differenze, ma il punto è che lo spazio transnazionale si unifica nella forma della precarietà, dell’impoverimento e del declassamento, e diviene comune nel segno delle lotte. Qui i lavoratori cognitivi sono diventati classe, e l’università è diventata per la forza lavoro metropolitana ciò che le fabbriche erano per la classe operaia: un luogo di organizzazione del conflitto. Il nome Edu-Factory, fin dall’inizio, alludeva a questa direzione. Basti guardare alle pratiche di conflitto dei movimenti in giro per il mondo – la centralità delle questioni del welfare, del reddito, del non ripianamento del debito, della libertà di accesso, dell’autonoma produzione di saperi – per accorgersi che stanno emergendo lessici comuni che ora devono farsi rete organizzata, inchiesta militante e programma di lotta. Non per difendere quello che esiste, il pubblico, ma per costruire il comune. Questa è la sfida che il meeting di Parigi avanza.
Già varie proposte hanno iniziato a circolare (c’è da tempo, oltre a quella di Edu-Factory, una mailing-list cui prendono parte diverse centinaia di gruppi e attivisti) e verranno discusse nella tre giorni: dalle campagne di mobilitazione a una grande giornata comune di azione transnazionale. E, chissà, la convocazione di un prossimo incontro sull’altra sponda del Mediterraneo. Non per inseguire l’evento, ma per anticiparlo e organizzarlo. Per dar vita alle nuove coordinate della militanza del lavoro vivo contemporaneo. Si può, infatti, pensare di trasformare lo stato di cose presente senza porsi il problema di una nuova Internazionale del precariato cognitivo?